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L'outlook della settimana. Il punto al 25 febbraio 2025

Lieve rialzo dell’inflazione spinta dal costo dell’energia in un contesto di incertezza

Il tasso di inflazione annuale dell’area dell’euro è stato del 2,5% a gennaio 2025, in aumento rispetto al 2,4% di dicembre 2024. Ancora un lieve aumento ma per il quarto mese consecutivo, spinto dai costi energetici e da quelli dei servizi. Anche in Italia, secondo la rilevazione Istat sui prezzi al consumo, c’è stato un piccolo balzo in avanti che ha portato l’inflazione all’1,5%. Nel confronto con gli altri Paesi dell’Area Euro rimaniamo fra quelli con il tasso più basso.

Negli ultimi mesi la BCE ha tagliato i tassi di interesse, dando un po’ di sostegno all’economia, come sottolinea Confindustria nella sua Congiuntura Flash, ma proprio i costi energetici e le incertezze generate dai dai dazi USA, sono un vero freno per la crescita economica. Dato sottolineato anche da AICE-Confcommercio che evidenzia come i dazi mettano a rischio la necessità di stabilità per pianificare forniture e consegne.
Ne emerge quindi un quadro meno chiaro rispetto alle aspettative e, in una intervista al Financial Times, Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della BCE, fa notare come la politica graduale e cauta della BCE sia stata appropriata: “L’inflazione interna è ancora alta, la crescita salariale è ancora elevata e abbiamo assistito a nuovi shock nei prezzi dell’energia. Abbiamo anche visto che le aspettative di inflazione sono molto sensibili a tali shock. Quindi penso che il nostro approccio sia giusto”.  Ha quindi aggiunto che “ci stiamo avvicinando al punto in cui potremmo dover sospendere o interrompere i nostri tagli ai tassi”. 

Gestire i rischi

Stiamo attraversando, tra guerre, tensioni commerciali internazionali, e rischi climatici un momento storico davvero complicato e, per meglio comprenderlo viene in nostro soccorso uno studio BCE sugli effetti che avrebbe un’eventuale interruzione in Europa delle Forniture critiche dall’estero, i Foreign Critical Inputs (FCI) o Im put critici di origine estera. Ipotizzando una riduzione del 50% delle importazioni di FCI dalla Cina e dai Paesi a essa allineati comporterebbe una perdita temporanea di valore aggiunto nel settore manifatturiero pari a circa il 2-3%, con variazioni significative tra imprese, settori, regioni e Paesi. Questo fenomeno avrebbe conseguenze rilevanti per l’economia nel suo complesso, la crescita e la stabilità dei prezzi.
Frank Elderson, membro del Board della BCE, nominato dal TIME uno dei 100 leader climatici più influenti nel mondo degli affari, ammonisce in una recente intervista come “clima, natura ed economia sono profondamente interconnessi e interdipendenti. Le crisi gemelle climatica e naturale sono fonti di rischio finanziario. Per le banche centrali e i supervisori, affrontare queste questioni non è quindi né un’opzione né una scelta politica: è un obbligo che rientra pienamente nel nostro mandato. Se i banchieri centrali e i supervisori vogliono perseguire efficacemente i loro compiti di mantenimento della stabilità dei prezzi e di salvaguardia del settore bancario, devono essere consapevoli dell’ambiente in cui operano. Ciò significa considerare l’impatto delle crisi climatica e naturale sull’inflazione e sulla sicurezza e solidità delle banche.
È fondamentale, quindi, essere pronti alla gestione dei rischi. In tal senso, una buona notizia emerge dai dati rilasciati da Istat sui principali indicatori di Economia e Ambiente per gli anni 2021-2023 secondo si sono ridotte le emissioni gas clima alteranti grazie anche al maggior ricorso ad energia da fonti rinnovabili. 

Produzione, consumi, lavoro e imprese giovanili

Continua nel 2024 la crescita annuale della produzione nelle costruzioni in Italia (+5,0%), con un rallentamento moderato rispetto alla dinamica del 2023 (+6,9%). 
La Congiuntura Confcommercio mostra che a gennaio 2025 c’è stata una variazione dei consumi dello 0,3% rispetto allo stesso mese del 2024 con una lieve diminuzione della spesa per i beni (-0,1%) e una crescita dell’1,4% per i servizi. il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, ha affermato che “l’inizio del 2025 replica le caratteristiche di disfunzionamento dell’economia italiana. Restano robusti i presupposti per una crescita dei consumi, grazie all’occupazione elevata, ai redditi reali crescenti e all’inflazione sotto controllo, sebbene in episodica crescita a febbraio, mentre non si assiste a un coerente sviluppo della spesa delle famiglie”.

A proposito di occupazione, Unioncamere segnala che sono 404mila i lavoratori cercati dalle imprese nel mese di febbraio, ma sono ben 193mila le assunzioni di difficile reperimento, pari al 47,9% dei profili professionali cercati. Certamente l’invecchiamento della popolazione e il calo delle nascite riducono la disponibilità di lavoratori, soprattutto in alcuni settori, ma il dato riflette uno squilibrio strutturale che incide sulla crescita economica e sulla competitività delle imprese. Per risolverlo servirebbero politiche mirate su formazione, retribuzioni, flessibilità del mercato del lavoro e incentivi alla mobilità.

E sempre Unioncamere, in uno altro studio, ci mostra come “ogni giorno per 10 anni consecutivi l’Italia ha “perso” 42 imprese guidate da under 35”. Il numero complessivo delle imprese giovanili passa così dalle quasi 640mila del 2014 alle 486mila di dicembre 2024. Anche questo è un dato che ha a che fare con l’invecchiamento della popolazione e che solleva preoccupazioni per il futuro. Inoltre, suggerisce il presidente Unincamere Andrea Prete, “i giovani che oggi scelgono di fare impresa puntano su attività dove il valore aggiunto della competenza e della tecnologia rappresenta un fattore distintivo e competitivo. Questa trasformazione suggerisce la necessità di politiche mirate che, oltre a facilitare l’accesso al credito e la fase di avvio, supportino i giovani imprenditori nell’acquisizione delle competenze necessarie per operare in settori ad alta intensità di conoscenza e innovazione”.

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